giovedì 12 giugno 2008

morti bianche


ROBERTO GIOVANNINI, La Stampa. 12/06/2008
ROMAPer chi muore lavorando si usano parole che sono stanche, dolenti, affaticate. Stillicidio, strage, ecatombe, cordoglio, rabbia, sdegno, basta, facciamo qualcosa. Parole che non «passano» il velo dell’attenzione di un’opinione pubblica che sobbalza solo un istante, prima di declassare queste morti nella lista delle cose «inevitabili», da dimenticare presto, come l’Iraq, i terremoti e gli uragani lontani, i bimbi affamati in Africa. Perché la «sicurezza» è una gran bella cosa, ma è una «rogna», è un costo per tutti. Restano i numeri, freddi e tristi come le storie di queste persone che muoiono bruciate, asfissiate, schiacciate, schiantate. Resta quel poco che si fa per consentire davvero a chi esce la mattina di casa e va al lavoro di poter tornare la sera a casa. Vivo e sano. Non ci sono riusciti in quasi 1.300, l’anno scorso, a tornare a casa. Il 2006 era stato peggiore, per il 2008 le stime parlano di almeno 500 morti a oggi. Il problema è che dal 2004 in poi non ci si smuove più da questa maledettissima «quota 1.300». Questi ultimi mesi segnati dalle stragi della ThyssenKrupp, di Porto Marghera, di Molfetta, di Mineo forse possono servire a renderci conto che non è possibile dover contare tanti morti e tanti feriti. Che non è accettabile che l’Italia - uno dei paesi più ricchi e organizzati del pianeta - debba registrare quasi un milione di incidenti l’anno (930 mila per la precisione sono quelli denunciati, chissà quanti sono quelli nascosti). Un lavoratore ucciso ogni 7 ore. Il nostro paese all’ultimo posto nella classifica dell’Europa a 15. Una strage che non si riesce a portare a dimensioni «europee» nonostante una montagna di leggi, di parole, forse di chiacchiere. Una strage di innocenti che costa 45 miliardi l’anno: soldi che non compensano morti e mutilazioni, soldi con cui si potrebbero fare una quantità di cose utili. Torino non ha certo dimenticato quella notte del 6 dicembre, quando si scatenò l’inferno alla linea 5 dello stabilimento di corso Regina Margherita. Il fuoco avvolse i corpi di sette operai, sotto gli occhi di alcuni colleghi che provarono ad aiutarli. Invano: estintori e sistemi di sicurezza non funzionavano. Nel terribile rogo, per il quale ci sono ora sei indagati (uno per omicidio volontario) morirono Antonio Schiavone, Roberto Scola, Rocco Marzo, Angelo Laurino, Rosario Rodinò, Bruno Santino e Giuseppe Demasi. Proprio in questi giorni sono in corso le trattative fra le parti per il risarcimento delle vittime, mentre il primo luglio si aprirà l’udienza preliminare. Il 18 gennaio, due operai addetti ai lavori di pulizia della stiva di una nave a Porto Marghera (Venezia) morirono asfissiati dalle esalazioni di gas. Il 6 febbraio, quattro persone, tutte appartenenti alla stessa famiglia, persero la vita nell’esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio nel comune di Orvieto. Il 3 marzo, la mattanza di Molfetta: cinque sono le vittime delle esalazioni liberatesi durante la pulitura della cisterna di un camion. Nella cisterna morirono tre dipendenti e il titolare della «Truck center», calatisi successivamente nel tentativo di salvare i colleghi, mentre un altro lavoratore morirà in ospedale il giorno seguente. C’è ora un’indagine per omicidio colposo plurimo presso la Procura della Repubblica di Trani. Il 16 aprile a Cornate d’Adda due operai della Masterplast furono vittime dell’esplosione di un macchinario per la lavorazione della plastica: un italiano ed un cittadino del Burkina Faso. Un terzo operaio resta ferito. Adesso arriverà una Commissione d’inchiesta parlamentare. Servirà? Le altre commissioni d’indagine non sono state molto utili. Chissà a questo punto se verrà confermato il progetto del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, ovvero modificare in senso deregolamentatorio il Testo Unico sulla Sicurezza approvato dopo la strage della ThyssenKrupp. Certo è che la Confindustria di Emma Marcegaglia ha da sempre osteggiato l’apparato di sanzioni e di nuovi adempimenti per le imprese lì previsto, affermando che serve più formazione e meno repressione. Sarà bene riflettere, e ascoltare l’appello di Napolitano: servono fatti, cose concrete.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Chiacchiere... questo si sente sempre intorno al grave, gravissimo problema delle cosiddette *morti bianche*. Un sussulto condiviso da destra a sinistra finché i fatti sono ancora caldi. Poi cala il solito Silenzio...
A me viene subito in mente Shakespeare in *Giulietta e Romeo*.. nella scena finale, quando il Principe bacchetta tutti, Capuleti e Montecchi, gridando la famosa frase "Siamo tutti colpevoli... tutti puniti!"
Se almeno anche i nostri politicanti, imprenditori e Rsu si facessero un vero esame di coscienza e prendessero provvedimenti seduti allo stesso tavolo, non staremmo sempre qui a contare i morti.

ALL ARE PUNISH'D...

Tutti, questo è il messaggio. Non solo chi muore.

Anonimo ha detto...

concordo...